venerdì 26 ottobre 2012

Il Gran Bollito per una domenica in famiglia




Ettore, Stefano e il Gran Carrello!
A partire da domenica 6 novembre al Ristorante La Colonna riparte la "Stagione del Bollito", il pranzo delle domeniche piacentine nei mesi freddi.

Il menu della Colonna.
Per tutte le domeniche che verranno fino a primavera, Ettore e Stefano Ferri propongono a mezzogiorno un menu che ruota intorno al Gran carrello dei bolliti, anticipato dai tre salumi dop (salame, coppa, pancetta), un primo a scelta tra anolini in brodo o asciutti con sugo di stracotto, tortelli o passatelli in brodo, pisarei e fasò.

Il Gran bollito della Colonna sarà composto da testina e lingua di vitello, pernice di manzo, gallina e tasca di vitello ripieni, salame cotto e cotechino, il tutto accompagnato da purè di patate, salsa verde classica, salsa di peperoni, giardiniera di verdure e mostarda. Il menù completo senza vini avrà un prezzo fisso di 35 euro (bevande escluse). L’iniziativa non solo intende rilanciare una tradizione ormai sbiadita, il pranzo della domenica per le famiglie, ma vuole restare fedele alla filosofia dell’alimentazione a chilometro zero. Sia le carni che i salumi utilizzati per realizzare i piatti, infatti, provengono interamente da aziende della nostra provincia, allevamenti e salumifici che lavorano cercando di essere fedeli al territorio e alle tradizioni.

Un bell'articolo del giornalista enogastronomico Stefano Quagliaroli pubblicato sul quotidiano Libertà  in occasione dell'avvio dell'iniziativa proposta da Ettore e Stefano Ferri, ripercorre la storia e i significati legati a questa nostra tradizione gastronomica. E' da leggere!

Un menù che ritorna alle tradizioni padane della società preindustriale.
(Stefano Quagliaroli, Libertà)

Disponendo di una macchina del tempo si potrebbe andare a curiosare in una casa padronale di campagna del primo Novecento, una domenica d’inverno a mezzogiorno, tanto a Bologna come sulle colline di Langa, passando per le valli di Piacenza. Oppure anche in una casa di mezzadri ragion
evolmente benestanti, durante una festa comandata. Il menù era probabilmente simile, se in casa c’erano le compite vestali della tradizione, le madri, assecondate e talvolta sottomesse al pater familias, il razdur, che dispensava saggezza culinaria insieme a regole eterne di convivenza. Dapprima gli anolini in brodo, o gli agnolotti del plin in Piemonte o i tortellini a Bologna, poi il bollito misto, che aveva già compiuto la sua missione di produrre un brodo in terza, dai sapori e dagli aromi che riempivano le stanze e le riscaldavano. Il gran bollito, più nobile del prosaico lesso, si componeva di testina e lingua di vitello, pernice di manzo, salame cotto e cotechino, gallina ripiena o il più grasso cappone nelle feste di Natale, talvolta le costine di maiale. Per bilanciare l’eccesso di grassi si ricorreva alla gustosa acidità delle salse, quella verde classica a base di prezzemolo e aglio o quella di peperoni, spesso quelli verdi tenuti nell’aceto, alla giardiniera di verdure e alla mostarda.

Era un gran mangiare, quasi una messa cantata della gola dopo la messa vera, senza la quale non ci si sedeva a tavola perché sembrava quasi blasfemia. Dopo, levata la mensa, ci si alzava sereni e satolli, mentre fuori l’imbrunire era già annunciato da un sole lontano e calante.

Il kit delle salsine e della mostarda!
Non rimaneva che un giro sotto i portici nebbiosi del paese o del capoluogo per poi tornare a sera di nuovo a tavola per finire gli anolini. Il lesso si rigovernava, nelle famiglie borghesi si metteva in gelatina, magari con tartufi e altri preziosi inserti; nella famiglia del mezzadro lo si condiva insieme alle cipolle sottili e diventava una nuova cena nei giorni successivi. Il bollito insomma, come accadeva spesso per tanti altri piatti, non lo si mangiava soltanto, lo si viveva e lo si recitava, era simbolo e sostanza, famiglia e nutrimento. Nella stagione fredda, proprio quando si celebrano i morti e i santi, l’inizio di un novembre solitamente freddo, illuminato talvolta dall’ultimo potente sole dell’estate di San Martino, tornano a galla queste memorie di un passato che accomuna le popolazioni padane ma che non si vivono più come un tempo. Compito di un ristorante è talvolta quello di recuperare la memoria degli uomini, far loro riprovare le emozioni di epoche che sembrano lontanissime.




Il Gran Carrello! (Uno scomparto)



lunedì 22 ottobre 2012

Attesa


RistoRacconti..

...Il ristorante alla sinistra della piazza è quello che cerca, il nome dell’insegna corrisponde a quello scritto su un fogliettino che l’uomo tiene nella tasca dei pantaloni. Lo controlla un’altra volta prima di entrare. Con un fazzoletto si asciuga il sudore dalla fronte, si sistema i capelli. È pronto.
Entra con la sicurezza di trovare qualcuno o qualcosa ad attenderlo, ma il ristorante è vuoto, e sul viso, il sorriso lucido approntato per l’occasione, svanisce in una smorfia nervosa. Sceglie un tavolo apparecchiato per due, nell’angolo in fondo, ben di fronte all’ingresso. Il cameriere è già pronto a prendere l’ordinazione «Aspetto una persona» risponde lui. La persona attesa, però, sembra essere in grande ritardo, forse non arriverà. Tanto vale allora prendere qualcosa velocemente e poi cercare un modo per tornare in città, ancora prima dell’orario stabilito.
Così richiama il cameriere e ordina. Mangia con foga ed è così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi di lei, che è arrivata passando dall’entrata secondaria, se non quando ne sente la voce: «La mamma ha detto di dire che si scusa ma...non viene» e la vede davanti ai suoi occhi: una bambina, dieci anni circa. Occhi scuri anche lei....

Chiara Ferrari, L'ultima corsa della sera in 1995 Km da Santiago, Lir Edizioni, 2007.


Continua...